• May 31, 2023
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LE VERE ORIGINI DEL NAZISMO DI ADOLF HITLER IN GERMANIA

di Petronius Brando

settembre 2022

Una delle più importanti pagine di storia del XX secolo non raccontate nei libri di scuola occidentali, è quella che tratta i rapporti tra i grandi gruppi industriali statunitensi e la Germania nazista. Essenzialmente sono due i motivi per cui si omette di affrontare questa parte fondamentale di storia. Primo motivo consiste nel fatto che furono la finanza e le grandi aziende statunitensi a consentire alla Germania di risollevarsi dalla crisi socio-economica in cui versava per via delle condizioni capestro inflitte alla Germania alla fine della Prima Guerra Mondiale mediante il Trattato di Versailles. Il secondo motivo consiste nel fatto che fu proprio il sostegno economico e finanziario statunitense a consentire ad Hitler di armarsi, e che addirittura quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, le grandi imprese statunitensi continuarono a fare affari con la Germania nazista tanto da consentirgli di poter mantenere il suo apparato bellico. Ciò è confermato anche dalle parole del presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt, il quale in un discorso effettuato a Washington nel novembre del 1941 affermò: “L’andamento complessivo della nostra grande produzione industriale, non deve essere ostacolato dal comportamento egoista, di un pericoloso gruppo di imprenditori che pensano soltanto a realizzare eccezionali profitti. Costoro continuano a curare i propri affari come se niente fosse.

Nel 1941 in Germania prosperavano ancora 553 aziende statunitensi, tra le quali Standard Oli, General Motors, Ford, IBM, Kodak, Coca Cola. Queste società mantenevano intensi rapporti commerciali con i nazisti, mentre i dirigenti dei quattro grandi colossi statunitensi (Standard Oil, General Motors, Ford, IBM) e delle relative affiliate tedesche potevano essere considerati addirittura amici di Hitler. Senza di essi infatti, il Führer non avrebbe potuto fare la sua guerra.

Standard Oil

Negli anni Trenta, la Standard Oil era il più grande gigante petrolifero degli Stati Uniti. Il potente gruppo che diventerà la “Esso”, portò avanti la sua politica economica in tutto il mondo senza distinguere tra regimi democratici e dittature. Il suo obiettivo consisteva nel creare un monopolio. La compagnia petrolifera Standard Oil faceva parte dell’impero Rockefeller e la sua sede centrale era a New York.

Il presidente della Standard Oil era il manager Walter Clark Teagle.

Walter Clark Teagle

Teagle contribuì in maniera determinante allo sviluppo industriale della Germania nazista, sia prima che durante la Seconda Guerra Mondiale, anche attraverso il suo coinvolgimento con la società chimica tedesca IG Farben. A guidare il gruppo chimico tedesco concorrente della Standard Oil, c’era un altro dirigente spregiudicato, Hermann Schmitz. IG Farben aveva messo a punto un procedimento per creare la benzina sintetica, in modo tale che in caso di carenza di petrolio, il titolare del brevetto sarebbe diventato il padrone del mercato mondiale. Ma nel 1938 la Germania era ancora costretta ad importare l’80% del proprio fabbisogno di greggio.

Hitler voleva la guerra, ma per motivi strategici necessitava a qualunque costo della benzina sintetica. Era cosciente che in caso di conflitto la Germania si sarebbe vista chiudere gli approvvigionamenti petroliferi. Era stata progettata la costruzione di un oleodotto, poi la creazione di una flotta di petroliere, ma tutte queste idee erano state bloccate sul nascere da Hitler che invece aveva un piano molto chiaro, la Germania doveva vincere unicamente con l’autarchia.

Dal discorso di Hermann Göring, tenuto a Berlino nell’agosto del 1936: “Sapevamo di non avere carburante ed abbiamo costruito le fabbriche che dovevano fornirci il carburante, sapevamo che non potevamo procurarci il caucciù ed abbiamo costruito le fabbriche di caucciù, gli americani pensavano di avere il monopolio, ma la scienza tedesca ha spezzato questi monopoli e oggi siamo in possesso di tutti i mezzi necessari per sconfiggere il nemico“. Chi era Hermann Göring? Occorre ricordare che con il titolo di Maresciallo del Reich, era il numero due del regime nazista. Inoltre era anche il capo della Luftwaffe (aviazione militare tedesca) e questa carica gli forniva già di per sé un importante ruolo economico, ma ad aumentare il suo peso contribuì ulteriormente la nomina avvenuta alla fine del 1936 a Responsabile del Piano Quadriennale Economico della Germania. Altresì Göring vantava una fitta rete internazionale di pubbliche relazioni con personaggi di alto spessore economico.

Ma il potente comandante della Luftwaffe sottovalutò un elemento fondamentale: il piombo tetraetile. Si tratta di un additivo per benzina, senza il quale i motori supercompressi dell’aviazione militare tedesca non potevano decollare, e Hitler aveva necessità di una Luftwaffe pronta ed efficiente per realizzare i suoi piani di conquista a Est. Fu così che Göring invitò i dirigenti della IG Farben a mettersi in contatto con gli amici statunitensi. La Standard Oil infatti, era la prima produttrice al mondo di piombo tetraetile. I tedeschi avevano bisogno del know-how di Standard Oil per la costosa produzione del nuovo carburante sintetico. L’accordo tra Standard Oil e IG Farben fu realizzato in breve tempo. Walter Clark Teagle ed Hermann Schmitz realizzarono in breve tempo la costruzione in Germania di due impianti per la produzione di piombo tetraetile.

Ma nel luglio del 1938, la produzione era ancora insufficiente. Un approvvigionamento rapido e diretto avrebbe potuto mettere al sicuro da pericolosi imprevisti. La filiale della Standard Oil a Londra consegnò immediatamente ai nazisti l’antidetonante per un valore di 20 milioni di dollari. In quel momento Hitler era in grado di procedere all’annessione dei Sudeti e preparare l’attacco alla Cecoslovacchia.

Poco prima dell’invasione della Polonia, la filiale britannica della Standard Oil consegnò altro piombo tetraetile per un valore di 15 milioni di dollari. Durante la Battaglia d’Inghilterra, i primi bombardamenti aerei su Londra furono possibili proprio grazie alla disponibilità e all’utilizzo di questo composto chimico.

Per la sua guerra Hitler aveva estrema necessità di petrolio, ma in Germania la produzione del combustibile sintetico copriva appena la metà del fabbisogno. Ancora una volta era necessario ricorrere all’aiuto degli amici industriali negli Stati Uniti.

Standard Oil possedeva quasi la metà dei diritti sui giacimenti petroliferi rumeni di Ploiești, la fonte di greggio più importante in quegli anni per la Germania. Nell’archivio militare di Friburgo sono raccolte lettere e documenti che testimoniano che i nazisti avevano urgente bisogno di bright stock, l’olio pesante. Solo gli Stati Uniti erano in grado di rifornirli di questo materiale determinante per la realizzazione della guerra di Hitler ed anche durante tutta la guerra le imprese statunitensi fornirono bright stock alla Germania in quantità sufficiente per soddisfare le proprie esigenze belliche. Il bright stock è un derivato molto pregiato del petrolio, che tra l’altro veniva usato per alimentare i motori dei carri armati.

Il Terzo Reich dunque continuava ad avere bisogno della benzina e del gasolio degli Stati Uniti. Le navi degli amici statunitensi di Hitler nascondevano il petrolio nel Mar dei Caraibi e di norma le petroliere che li trasportavano battevano bandiera panamense. Ma nell’Oceano Atlantico stazionavano le navi da guerra britanniche che cercavano mediante il blocco navale di tagliare i rifornimenti petroliferi destinati a Hitler.

Il comandante supremo della marina militare tedesca, l’ammiraglio Karl Dönitz, riuscì ad ottenere un finanziamento di 500 mila dollari. Il diesel era un carburante molto costoso e Hitler voleva dominare l’Atlantico con i suoi sommergibili. Le consegne del diesel avvenivano mediante l’aiuto di industriali statunitensi della Standard Oil e soprattutto della Texaco di Torkild Rieber, un manager di origine norvegese fidato amico di Hitler. Rieber aveva anche rapporti con i servizi segreti tedeschi e sul suo conto gli informatori del Reich stilarono giudizi lusinghieri, tanto che fu definito “un vero sostenitore della Germania e sincero ammiratore di Hitler“.

Opel Blitz durante l’invasione dell’Unione Sovietica

Senza l’Opel Blitz, Hitler non sarebbe riuscito ad entrare trionfalmente a Vienna, infatti durante le manovre militari per l’annessione dell’Austria, numerosi mezzi pesanti di altre marche si guastarono lungo la strada. Hitler dimostrò subito la sua riconoscenza: visitò personalmente lo stabilimento di Brandeburgo e ordinò altri duemila Opel Blitz.

Dall’avvento del nazismo fino allo scoppio della guerra, nella General Motors fu fondamentale il ruolo di un brillante manager statunitense. Il suo nome era James D. Mooney. In qualità di vicepresidente della General Motors in Germania, per i meriti acquisiti nella trasformazione della Opel in una delle maggiori aziende del settore militare, ricevette da Hitler l’Ordine dell’Aquila, la massima onorificenza conferita dal Partito Nazionalsocialista ad uno straniero.

Ogni volta che fu impiegato, l’Opel Blitz superò brillantemente le prove più ardue. L’avanzata ad Oriente, l’annessione dei Sudeti e l’aggressione alla Cecoslovacchia. Poi seguirono i successi della guerra lampo ad Ovest. Nel 1940, in poche settimane Olanda, Belgio e Francia furono travolte. Questi camion risultarono fondamentali anche per l’invasione dell’Unione Sovietica. Senza l’Opel Blitz, l’esercito tedesco non avrebbe mai potuto trasportare i suoi soldati per migliaia di chilometri all’interno dell’Unione Sovietica.

Negli stabilimenti Opel, la produzione di vetture utilitarie fu quasi del tutto abbandonata. Gli investimenti erano diminuiti e il personale si era assottigliato per la chiamata alle armi. Le officine interruppero questo tipo di produzione e la Luftwaffe pensò ad un nuovo utilizzo degli impianti di produzione di vetture utilitarie. Fu così che in quegli stabilimenti la Opel iniziò a produrre parti di fusoliera e motori per gli Junker-88, i più potenti bombardieri di Hitler. L’accordo firmato tra la Luftwaffe e la Opel fu possibile grazie al ruolo fondamentale svolto dal vicepresidente James D. Mooney, il quale viveva a Berlino, intratteneva rapporti epistolari con i vertici del partito nazista e nell’autunno del 1939 ebbe modo di incontrare più volte Hermann Göring, il capo della Luftwaffe, l’aviazione militare nazista.

Nei colloqui con Göring, Mooney espresse una forte solidarietà con i politici nazisti. Anche lui riteneva che dopo la Prima Guerra Mondiale, la Germania fosse stata trattata in modo troppo duro da Francia e Inghilterra. Göring incoraggiò Mooney a svolgere un’opera di mediazione. Mooney si rivolse al presidente statunitense Roosevelt, il quale si dichiarò disponibile a fare da mediatore. Roosevelt in persona augurò un buon successo alla missione di Mooney.

E qui risulta del tutto evidente la russofobia statunitense. Roosevelt con un embargo sul commercio avrebbe potuto impedire questo fondamentale sostegno alla mobilità dell’esercito nazista, ma non lo fece. Utilizzò invece gli industriali e i banchieri statunitensi per sviluppare e consolidare i rapporti diplomatici tra gli Stati Uniti America e la Germania nazista, in modo da potenziare quanto più possibile la macchina bellica tedesca al fine di renderla in grado di aggredire e invadere prima o poi l’Unione Sovietica.

Grazie alle continue adulazioni, nel febbraio del 1940 Mooney ebbe modo di incontrare Hitler nella nuova sede della Cancelleria. In un diario rimasto per decenni inedito per volere della General Motors, Mooney descrisse il colloquio estremamente amichevole avuto con il Führer. In una lettera indirizzata a Roosevelt, Mooney descrisse Hitler come una persona cordiale e amichevole. In seguito, Messersmith il Sottosegretario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, definì Mooney: “un fascista“.

Ma questo episodio non cambiò i rapporti tra la General Motors e la Opel, che continuò a costruire veicoli militari per la Germania nazista. Per consentirgli di invadere l’Unione Sovietica, la Opel nei primi anni di guerra fornì all’esercito tedesco più di centomila mezzi militari.

Il 15 maggio 1941 il generale nazista Adolf von Schell, responsabile della fornitura di automezzi militari, conferì alla Opel un attestato nel quale dichiarava che senza l’aiuto dell’azienda non sarebbe stato possibile continua la guerra. Sempre nel 1941 la General Motors rifiutò una proposta d’acquisto per la Opel, preferì non vendere la casa automobilistica e rimanere in Germania. In una lettera al commissario del Reich per i patrimoni del nemico, la General Motors fece sapere di essersi ormai identificata con le sorti della Germania.

Al contempo, la General Motors partecipò al riarmo statunitense con molto zelo. L’organizzazione fu affidata allo stesso James D. Mooney. Il presidente della General Motors Alfred Sloan dichiarò: “Un’impresa multinazionale presente in tutto il mondo, è tenuta a gestire le proprie attività in base a rigidi criteri economici, incurante delle idee politiche del paese in cui opera. Non siamo un ente assistenziale, noi realizziamo profitti per i nostri azionisti“.

Il 6 agosto 1944, lo stabilimento di Brandeburgo fu quasi completamente distrutto dai bombardieri statunitensi. Anni dopo però, la General Motors ottenne dal fisco degli Stati Uniti un nuovo indennizzo di ben 32 milioni di dollari.

Ford

Nel 1939 nella cittadina di Riverdale, nel New Jersey, me

mbri della Lega Tedesco-Americana (German-American Bund) marciarono durante uno dei loro campi estivi.

Il leader del movimento, del movimento Fritz Julius Kuhn, un chimico delle industrie Ford, era stato già membro del partito nazista in Germania. I 30 mila membri del German-American Bund promuovevano politiche razziste e antisemite filo hitleriane. Avevano simpatizzanti altolocati, come il datore di lavoro Fritz Kuhn.

Infatti, nel 1921 era stata pubblicata l’edizione tedesca del libro scritto da Henry Ford “L’ebreo internazionale. Un problema mondiale“. Fin dall’inizio, tra il leggendario costruttore di automobili Henry Ford e Adolf Hitler, c’era un elemento di forte comunanza spirituale: l’antisemitismo. Il libro di Ford rafforzò in Hitler l’odio antiebraico e lo indusse ad elementi di riflessione per la stesura del suo “Mein Kampf“.

Inoltre alcuni industriali statunitensi e membri della finanza, vedevano in Hitler e nelle dittature fasciste europee una possibile soluzione ai problemi che incontravano con i movimenti dei lavoratori e con i sindacati. Agli occhi di Henry Ford i sindacati erano opera del diavolo. L’azione brutale di Hitler contro i sindacati piacque a Ford che presidiava le sue fabbriche con milizie armate. Prima che Hitler salisse al potere, Ford lo sostenne con ingenti finanziamenti, tanto che un’immagine del benefattore statunitense era appesa nella sede del partito nazista a Monaco di Baviera.

Ogni giorno tantissimi tedeschi scrivevano lettere di ammirazione a Ford, il fordismo divenne l’ideologia degli industriali tedeschi. Per costoro ogni azione doveva essere realizzata proprio come l’aveva già realizzata Ford.

Nel 1930 Ford si recò in Germania, nella città di Colonia dove partecipò alla posa della prima pietra per la costruzione di un proprio stabilimento industriale. All’inizio gli affari non andarono bene, le Ford erano care e dovevano fare i conti con l’avversione di molti tedeschi verso i prodotti stranieri. Dal discorso di Hitler tenuto a Monaco il 16 febbraio 1935: “L’acquirente medio che oggi acquista un’auto straniera, non può dire di aver fatto questa scelta a causa della qualità superiore del prodotto, ormai le nostre autovetture tedesche non hanno più nulla da invidiare a quelle estere“.

All’inizio degli anni Trenta la produzione di autovetture negli stabilimenti Ford aveva subito una netta flessione. Edsel Ford, il figlio di Henry Ford assunse la direzione degli stabilimenti di Colonia e Detroit. Tramite informazioni riservate, Edsel Ford apprese che in Germania era in atto una battaglia economica in cui le commesse statali assumevano sempre maggiore importanza. Per Henry Ford non ci furono problemi, il motore otto cilindri Ford poteva essere venduto come motore per i fuoristrada militari. Fu così che la conversione dello stabilimento Ford di Colonia fu immediata.

Henry Ford impose che gli altri produttori d’auto stranieri non ricevessero più caucciù per pneumatici, né valuta per importarlo. Furono obbligati a procurarsi la gomma attraverso scambi merce e a destinare il 25% alla produzione bellica. Il dittatore tedesco si mostrò riconoscente verso il potente industriale statunitense. Finalmente, i veicoli prodotti a Colonia poterono fregiarsi del marchio: “prodotto tedesco”.

Gli affari con il regime nazista si intensificarono. Nel 1938 Ford e Opel furono introdotte nel programma di pianificazione della Wehrmacht. L’esercito tedesco in breve tempo commissionò alla Ford un ordine 100 mila autocarri, inclusi quelli pesanti a tre assi e i veicoli con trasmissione a catena. Ma i nazisti avevano fretta, stavano per effettuare l’annessione dei Sudeti e intendevano ricevere immediatamente dalla Ford mille automezzi pesanti, ma lo stabilimento di Colonia non era in grado di produrli in tempi così brevi.

La filiale statunitense offrì subito una soluzione. Furono spediti il giorno stesso da Detroit motori, telai e le cabine degli autoarticolati e appena giunti a Colonia furono assemblati di notte in tutta segretezza. Fu così che in brevissimo tempo la Wehrmacht ritirò gli autocarri richiesti e procedette immediatamente all’invasione della Cecoslovacchia. Quando ci si scandalizza per l’aggressività di Hitler, per il suo cinismo, per aver causato la guerra in Europa, si dimentica sempre che senza il sostegno delle imprese statunitensi non avrebbe potuto fare nulla. Nel caso specifico, si è davvero così ingenui da credere che alla Ford non sapessero a cosa servissero quei mille camion, da consegnare immediatamente e tutti insieme? Quanta ipocrisia!

Alla fine del 1938, Hitler dal canto suo insignì Ford della più alta onorificenza militare nazista concessa a uno straniero: l’Ordine dell’Aquila. Ford si fece appuntare con orgoglio l’onorificenza sulla giacca dal viceconsole tedesco a Detroit.

Viceconsole tedesco appunta l’Aquila d’Oro sulla giacca di Henry Ford

Ma anche Henry Ford si dimostrò riconoscente per i buoni affari conclusi. Così, il 20 aprile del 1939, in occasione del cinquantesimo compleanno di Hitler, la Ford versò 35 mila reichsmark sul conto personale del Führer.

Nei più nei primi anni di guerra aumentò in modo massiccio la produzione di mezzi pesanti ed Henry Ford se ne rallegrò. Poi, quando venne a sapere che un suo stabilimento in Gran Bretagna avrebbe dovuto costruire seimila motori per la Royal Air Force (l’aviazione militare britannica), Henry Ford si oppose. Scrisse al Daily Mail di Londra che poteva accettare solo commesse militari per la difesa degli Stati Uniti. Al contrario, l’industriale statunitense non aveva nulla da obiettare sul fatto che nella Francia occupata dai nazisti, gli impianti Ford lavorassero a pieno regime per la Wehrmacht, producendo mille mezzi pesanti al mese.

Dal 1942 ormai scarseggiava la manodopera nelle industrie tedesche. Lo sforzo militare, soprattutto quello sostenuto contro l’Unione Sovietica, impose il reclutamento di tutti gli uomini abili. Così, nello stabilimento di Colonia, la Ford poteva garantire i rifornimenti alla Wehrmacht solo ricorrendo al lavoro forzato e alla schiavitù. I prigionieri furono alloggiati in un apposito campo di baracche adiacente allo stabilimento industriale. Negli ultimi anni del conflitto, Ford affittò anche migliaia di detenuti nei lager, soprattutto sovietici. Per ogni detenuto pagava alle SS 4 marchi al giorno. Le condizioni di vita e di lavoro erano disumane.

“Curioso”, si fa per dire, il fatto che nel 1942 la città di Colonia fu bombardata a tappeto dagli angloamericani e nonostante la quasi completa distruzione della città, lo stabilimento industriale Ford non fu mai volutamente colpito. Così, nel corso dell’intera Seconda Guerra Mondiale, lo stabilimento Ford di Colonia produsse indisturbato per la Wehrmacht 78 mila mezzi pesanti e 14 mila mezzi con trasmissione a catena.

 Solo nel 1944, alcune bombe caddero nei pressi dello stabilimento della Ford a Colonia, causando lievi danni. Di contro, con faccia tosta, nel 1965 la Ford chiese ad una commissione del governo statunitense circa 7 milioni di dollari di risarcimento per i danni di guerra. La commissione quantificò questo risarcimento in mezzo milione di dollari.

International Business Machines (IBM)

L’ascesa al potere di Hitler coincise con un vero e proprio boom della filiale tedesca della IBM. I calcolatori erano usati in quasi tutte le grandi industrie, ma da quel momento fra i grandi committenti figurò anche il governo tedesco.

Nel 1935 la Dehomag, l’affiliata della IBM in Germania, costruì un uovo grande stabilimento alla periferia di Berlino. Mediante schede perforate, le macchine prodotte dalla Dehomag in collaborazione con la IBM, lavoravano rapidamente dati per statistiche, registrazioni e calcoli, di cui producevano degli stampati.

Anche il fondatore e presidente della IBM Thomas Watson, rimase impressionato dai successi della Dehomag e per questi motivi si recava spesso in Germania. Thomas Watson era riconosciuto come un estimatore e ammiratore di Hitler, dimostrazione stava nel fatto che sia moralmente che materialmente e finanziariamente lo aveva sempre sostenuto, ancor prima che salisse al potere.

Thomas Watson

Nell’estate del 1937 la Camera di Commercio Internazionale organizzò a Berlino il suo congresso mondiale. Watson riuscì a farsi eleggere presidente. Un articolo del New York Times illustrò la cerimonia al Teatro Kroll (Krolloper): Watson era tra gli stranieri che presenti all’ingresso del teatro alzarono la mano destra in segno di saluto verso Adolf Hitler. Il giorno dopo fu addirittura ricevuto dal Führer. Thomas Watson dichiarò alla stampa: “Hitler con i suoi progetti ha imboccato la strada giusta. Tutto andrà nel migliore dei modi!

Adolf Hitler e Thomas Watson seduti accanto

Anche Watson fu insignito dell’Ordine dell’Aquila. A consegnargli l’onorificenza fu Hjalmar Schacht, all’epoca ministro delle finanze del Terzo Reich.

La Dehomag e la IBM divennero uno strumento indispensabile per la realizzazione del piano di sterminio degli ebrei. Infatti i loro calcolatori gestirono il grande censimento del 1939 mediante il quale le SS intendevano scoprire quanti ebrei vivessero in Germania, nella regione dei Sudeti e in Austria. In una seconda scheda, la cosiddetta carta supplementare veniva chiesto il nome, l’indirizzo, la razza e la discendenza anche di genitori e dei nonni. In questo modo, l’ufficio per la razza delle SS intendeva registrare tutti gli ebrei purosangue, mezzosangue e quarto di sangue.

Il 1° settembre 1939 l’aggressione alla Polonia segnò l’inizio della “Politica di annientamento ad Est”. Cracovia divenne la capitale della Polonia occupata, trasformata in governatorato. Nella Rocca di Cracovia si insediò Karl Hermann Frank, il brutale governatore di Hitler. Frank istituì a Cracovia un grande ufficio statistico nel quale giunsero per lavorare molti collaboratori di fiducia di Thomas Watson. Molti altri stretti collaboratori di Watson giunsero in altre città polacche, tanto che la rappresentanza della IBM a Varsavia  fu ribattezzata “Watson Business Machines“.

In seguito, per attuare lo sterminio degli ebrei, tutte le cariche degli uffici anagrafici e statistici in Polonia, in Austria e in Francia, furono ricoperte da personale della IBM.

Nell’autunno del 1943 la carenza di manodopera rallentava la produzione bellica, così anche i detenuti dei campi di concentramento dovevano essere schedati in base alle competenze professionali e mandati a lavorare in modo forzato in tutto il territorio del Reich. In tutti i lager nazisti furono istituiti dei centri di rilevamento.

Tutti i dati elaborati dalla IBM venivano inviati alla sede delle SS a Berlino. Si stima che i prigionieri dei campi di concentramento schedati dalla IBM e ritenuti abili al lavoro forzato furono oltre un milione. Gran parte di questo archivio è stato immediatamente distrutto pochi giorni prima della caduta di Berlino, ma circa 140 mila schede della IBM sono ancora conservate presso l’Archivio Militare di Berlino.

Nel 1940, il giovane socio tedesco Willy Heidinger, il quale insieme ad altri due azionisti tedeschi deteneva il 15% della Dehomag, cercò di ridimensionare il ruolo degli statunitensi. Inoltre, il potere esclusivo della Dehomag all’interno del sistema tedesco cominciò a destare preoccupazione e sospetto. Il comandante di brigata delle SS Edmund Wiesmaier, da tempo consigliere di Hitler, si ispirava al vecchio detto “tutto ciò che giova al popolo tedesco è giusto!” e cominciò a parlare di nazionalizzazione.

Ma Thomas Watson non intendeva arrendersi così facilmente. Nel 1940 inviò a Berlino un collaboratore fidato e risoluto, il quale doveva trattare non solo con Heidinger ma anche con il comandante delle SS.  Watson che si trovava a New York veniva tenuto informato tramite messaggi cifrati trasmessi dall’ambasciata degli Stati Uniti in Germania. Nel corso dei negoziati Wiesmaier risultò più conciliante. I nazisti infatti avevano bisogno dell’IBM per gestire la complessa macchina bellica, ma se la IBM voleva evitare la nazionalizzazione avrebbe dovuto accettare la riduzione della partecipazione azionaria. Tramite il suo emissario, Watson rifiutò anche questa offerta. Così, per l’intero periodo della guerra la IBM restò proprietaria della Dehomag.

Kodak

Anche l’azienda statunitense Kodak fu una stretta collaboratrice del regime nazista e giocò un ruolo importante durante la Seconda Guerra Mondiale.

Infatti, i nazisti continuarono non solo ad importare dalla Kodak bobine e materiali chimici per la realizzazione di filmati, ma le filiali della Kodak presenti in Germania fabbricavano inneschi, detonatori e altro materiale militare. Ciò ha davvero dell’incomprensibile in quanto il governo statunitense non attuò mai un embargo nei confronti della Kodak.

Inoltre la Kodak, nei suoi stabilimenti presenti in Germania, su richiesta del governo tedesco dapprima licenziò tutti i dipendenti ebrei e poi in seguito utilizzò più di 250 prigionieri dei campi di concentramento nazisti, facendoli lavorare in stato di schiavitù.

Coca Cola

La Coca Cola fu una delle prime aziende a collaborare con il regime nazista. Durante le Olimpiadi di Berlino nel 1936 infatti fu uno degli sponsor ufficiali.

La Fanta, la famosa bibita analcolica all’arancia, fu ideata in Germania nel 1940. La bibita nacque come sostitutivo della bevanda Coca Cola che dopo l’embargo della Seconda Guerra Mondiale non venne più importata in Germania. L’ideatore della bibita all’arancia fu  Max Keith che, prima di allora, dirigeva le diverse fabbriche della Coca Cola Company sul suolo tedesco.

Il nome “Fanta” deriva dalla parola tedesca “Fantasieden” (in italiano “immaginazione”) e altro non era che un composto di fibra di mela da sidro e siero di latte.

Quindi all’inizio della sua storia, per la Fanta niente agrumi. Infatti ad inizio anni ’40, nella Germania nazista di agrumi non ve ne erano abbastanza.

Le banche statunitensi

Tutto iniziò alla vigilia del primo conflitto mondiale, quando la Banca Morgan spinse il neutralista Woodrow Wilson a spedire le truppe in Europa. La Morgan (che in seguito diventerà la JP Morgan) era la più potente banca del tempo e aveva raccolto oltre il 75% dei finanziamenti per le forze anglo-americane. Voglia di guerra, non importa su che fronte: la National City Bank, che pure lavorava a fianco della Morgan nel rifornire inglesi e francesi, non si faceva problemi a finanziare anche i tedeschi, come anche fece la Chase Manhattan Bank.

La banca Morgan, inoltre, aveva acquisito il controllo dei 25 principali quotidiani statunitensi. Obiettivo: propagandare l’opinione pubblica statunitense pilotandola in favore dell’entrata degli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale.

Il legame tra il comparto militare-industriale e gli oligarchi di Wall Street è una connessione che risale agli inizi del Novecento. Le banche hanno sempre tratto profitto dalla guerra, perché il debito creato dalle banche si traduce in un enorme bottino di guerra per la grande finanza. E anche perché le guerre sono state utilizzate per aprire i paesi esteri agli interessi corporativi e bancari degli Stati Uniti. Ammise William Jennings Bryan, segretario di Stato durante il primo conflitto mondiale: “C’erano grandi interessi bancari legati alla Prima Guerra Mondiale poiché grandi erano le opportunità di profitto“. Il problema: tutelare gli interessi commerciali degli statunitensi, che avevano fortemente investito negli alleati europei. Almeno due miliardi e mezzo di dollari dell’epoca, prestati a francesi e inglesi a partire dal 1915. “I banchieri ritennero che, se la Germania avesse vinto la guerra, i loro prestiti agli alleati europei non sarebbero stati rimborsati“.

Il più grande banchiere statunitense dell’epoca, John Pierpont Morgan, fece di tutto per trascinare gli Stati Uniti in guerra a fianco dell’Inghilterra e della Francia, finendo per convincere il presidente Wilson. Obiettivo: proteggere gli investimenti delle banche statunitensi in Europa. Non a caso il marine più decorato nella storia, Smedley Butler, dichiarò: “Io ho combattuto essenzialmente per le banche americane“.

Nel periodo antecedente la Seconda Guerra Mondiale fu anche creato un piano per gettare le basi per gli investimenti statunitensi in Germania. La strategia, ideata da Hjalmar Schacht della Dresdner Bank, si basava sulle istruzioni del capo della Banca d’Inghilterra e dell’amministratore della banca Morgan; il politico statunitense repubblicano John Foster Dulles, divenuto poi il segretario di Stato nell’amministrazione Eisenhower, ordinò di redigere questa politica. Il piano impiegò un anno per diventare effettivo, ma alla fine del 1923 Schacht divenne il Presidente di Reichsbank. Questo è il modo in cui il sistema finanziario anglo-americano è stato fuso con l’equivalente tedesco. Nell’estate del 1924 il progetto fu reso noto al pubblico come “Piano Dawes”, chiamato cosi dal nome dell’amministratore della banca Morgan. Il piano prevedeva di ridurre della metà la somme dei risarcimenti tedeschi e risolse inoltre il problema di accesso al capitale per la Germania. La priorità era quella di stabilizzare la moneta per poi spianare la strada al processo di investimenti in Germania. Il piano stanziò 200 milioni di dollari di credito per la Germania e la metà di questa somma proveniva da Chase Bank e Morgan. L’importo può sembrare irrilevante, ma allora, nel 1924, 200 milioni di dollari erano pari al 2% dei ricavi complessivi del governo degli Stati Uniti.

Il rimborso del debito tedesco, francese e britannico avvenne attraverso uno schema ben preciso: il ciclo di Weimar. L’oro utilizzato dalla Germania per pagare la somma di risarcimento di guerra fu spedito negli Stati Uniti e “scomparve” subito dopo. Il metallo tornò poi in Germania, sotto forma di un “piano di aiuti” e fu inviato in Francia e in Gran Bretagna come una rata della somma dovuta. Questi paesi poi utilizzarono questo denaro per pagare i propri debiti verso gli Stati Uniti. Ciò rese la Germania dipendente dal debito. Qualsiasi possibilità di tagliare flussi di capitale avrebbe sicuramente gettato il Paese in bancarotta. Formalmente, il credito era stato concesso per garantire il pagamento. In realtà, esso portò alla ricostruzione dell’industria militare tedesca. Il vero pagamento fu realizzato con azioni di società tedesche che erano state trasferite in mani statunitensi.

Tra il 1924 e il 1929 il valore complessivo degli investimenti esteri tedeschi valeva 15 miliardi di dollari. Nel 1929 l’industria tedesca divenne la seconda più grande al mondo, ma il tutto sotto il controllo del settore finanziario degli Stati Uniti.

La cooperazione statunitense-tedesca era così stretta che persino Deutsche Bank, Dresdner Bank e la Donat Bank erano controllate dagli Stati Uniti.

Dal 1923 ad Adolf Hitler furono concesse considerevoli somme di denaro provenienti dalla Svezia e dalla Svizzera. Nel primo paese, la famiglia Wallenberg era la principale fonte di finanziamento.

Dopo alcuni anni Hitler era pronto a svolgere il suo ruolo, ma a causa dell’economia sana, il suo partito non vinse la gara politica. Questo fu il motivo per cui da Wall Street fu assunta la decisione di avviare la crisi economica. La FED e la banca Morgan sospesero il credito per la Germania e spinsero l’Europa centrale alla recessione. La Gran Bretagna abbandonò il gold standard e fu travolta dal caos nel sistema finanziario internazionale. All’inizio del 1932 avvenne un incontro in cui fu deciso il piano di finanziamento “NSDAP”. Un anno dopo il piano di Hitler fu approvato e nel 1933 Adolf Hitler divenne cancelliere tedesco. Egli non aveva bisogno di un colpo di stato ma di una situazione economica di crisi, durante la quale milioni di tedeschi riposero la propria fiducia nel Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP).

I Tedeschi che desideravano l’uscita dalla crisi economica diedero la propria fiducia ad Hitler, perché questo disse loro esattamente quello che volevano sentirsi dire.

Ma il coinvolgimento delle banche anglo-americane in Europa continuò, e dopo la Prima Guerra Mondiale molte grandi banche anglo-americane finanziarono i nazisti. Nel 1998, la BBC riportò la seguente notizia: “La Barclays Bank accettò di pagare 3,6 milioni di dollari a favore degli ebrei i cui beni erano stati sequestrati dai rami francesi della banca britannica durante la Seconda Guerra Mondiale“.

Anche la Chase Manhattan Bank ammise di aver sequestrato, sempre durante il secondo conflitto mondiale, circa cento conti intestati ad ebrei nella sua filiale di Parigi. Come scrisse il “New York Daily News”: “A quanto pare i rapporti tra la Chase e i nazisti erano piuttosto amichevoli, a tal punto che Carlos Niedermann, capo della filiale Chase Bank di Parigi, scrisse al suo supervisore di Manhattan che la banca godeva «di molta stima presso i funzionari tedeschi» e vantava «una rapida crescita dei depositi»“. Occorre notare che la lettera di Niedermann fu scritta addirittura nel maggio del 1942, ovvero cinque mesi dopo che i giapponesi avevano bombardato Pearl Harbor e che gli Stati Uniti erano entrati in guerra contro la Germania.

Dopo la guerra, una commissione governativa francese, indagando sul sequestro dei conti bancari ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale riferì che erano coinvolte cinque banche statunitensi: Chase Bank, Morgan, Guaranty Trust Co. di New York, la Banca della città di New York e l’American Express. Secondo il quotidiano britannico “The Guardian”, il senatore Prescott Bush (padre di George Bush e nonno di George W. Bush), “era amministratore e socio in società che trassero largo profitto dal loro coinvolgimento nel finanziare la Germania nazista“. La società di “nonno Bush”, aggiunge il “The Guardian” sulla base di fonti d’archivio statunitensi, era “direttamente coinvolta con gli architetti finanziari del nazismo“. E i suoi rapporti di affari continuarono fino a che il patrimonio della società fu sequestrato nel 1942 nell’ambito del “Trading with Enemy Act”, la legge statunitense che sequestrava i beni di chi aveva fatto affari col nemico in tempo di guerra, ma che come abbiamo notato nel corso di questo articolo, in molti casi non fu applicata.

Prescott Bush

Attraverso la BBH (Brown Brothers Harriman), Prescott Bush agì come supporto statunitense per l’industriale tedesco Fritz Thyssen, che contribuì a finanziare Hitler nel 1930 prima di cadere con lui alla fine del decennio. Fritz Thyssen scrisse anche un libro dal titolo “I paid Hitler” (“Io finanziai Hitler”) nel quale descrisse come elargì 25 mila dollari (allora una cifra molto ingente) per finanziare il neo costituito Partito Nazionalsocialista Tedesco e riuscì a diventare il primo e più importante finanziatore nella presa del potere del Führer.

Il “The Guardian” sostiene di poter provare che lo stesso Bush sia stato il direttore della UBC, la Union Banking Corporation di New York, che rappresentava gli interessi di Thyssen negli Stati Uniti, e continuò a lavorare per la banca anche dopo che gli Stati Uniti entrerono in guerra. L’UBC (Union Banking Corporation) era stata fondata da Harriman e dal suocero di Bush per mettere una banca statunitense al servizio dei Thyssen, la più potente famiglia di industriali della Germania operante principalmente nel mondo delle acciaierie. Alla fine del 1930, la Brown Brothers Harriman, che si considerava la più grande banca privata d’investimento del mondo, e la UBC, avevano acquisito e trasferito milioni di dollari in oro, petrolio, acciaio, carbone e buoni del tesoro statunitensi alla Germania, alimentando e finanziando l’ascesa di Hitler fino alla guerra. L’economista statunitense Victor Thorn ha dichiarato: “La UBC divenne la via segreta per la protezione del capitale nazista che usciva dalla Germania verso gli Stati Uniti, passando per i Paesi Bassi. Quando i nazisti avevano bisogno di rinnovare le loro provviste, la Brown Brothers Harriman rimandava i loro fondi direttamente in Germania“.

Tra il 1931 e il 1933 la UBC acquisì più di 8 milioni di dollari in oro, di cui 3 milioni inviati all’estero. Anni dopo, la banca fu colta in flagrante a gestire una società di comodo statunitense per la famiglia Thyssen, anche dopo che gli Stati Uniti erano entrati in guerra, e si scoprì che era questa la banca che aveva finanziato in parte l’ascesa di Hitler al potere.

Secondo la BBC, Prescott Bush e la banca Morgan, unitamente ad altri investitori importanti, avrebbero anche finanziato un colpo di Stato contro il presidente Roosevelt, nel tentativo di “attuare un regime fascista negli Stati Uniti“.

Ecco quindi, che quando si parla dei Bush, occorre sempre ricordare che una parte importante delle fondamenta finanziarie della loro famiglia fu costituita grazie all’appoggio e all’aiuto forniti ad Adolfo Hitler. Quindi i presidenti degli Stati Uniti appartenenti alla famiglia Bush giunsero al vertice della gerarchia politica statunitense grazie al fatto che il nonno e il padre, e la famiglia in generale, aiutarono finanziariamente i nazisti.

Purtroppo nelle scuole occidentali non insegnano che durante la Seconda Guerra Mondiale, sia lo schieramento anglo-americano che quello nazista furono entrambi finanziati dalla stessa fonte.

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